Libido
La libido è l'energia psichica postulata da Freud come supporto delle pulsioni sessuali. Per Freud, essa rende conto della presenza del sessuale nella vita psichica e della sua manifestazione in termini di desiderio e di aspirazioni amorose. Per Jung, la nozione di libido s’allarga fino a designare l'«energia psichica» in generale, energia non specificata che si manifesta in tutte le tendenze, sessuali o no; ciò che rifiuta Freud, che mantiene il riferimento alla sfera sessuale.
Non è facile trovare in Freud una definizione della libido, in particolare per ciò che a questo termine riconducono le differenti accezioni sorte lungo le tappe della concettualizzazione della teoria delle pulsioni, delle ipotesi relative alla vita sessuale normale e/o patologica, delle questioni intricate relative alla nevrosi, la psicosi e le perversioni. Il termine latino di libido significa «desiderio », «voglia», «aspirazione». Nell’accezione di Freud, designa «la manifestazione dinamica nella vita psichica della pulsione sessuale». È l'energia «di queste pulsioni che hanno attinenza con tutto ciò che si può ricomprendere sotto il nome amore». Freud contesta il punto di vista di Jung, che vede la libido all’opera in tutte le forme e tendenze e non solamente sul piano sessuale.
Nel suo Introduzione alla psicoanalisi (1916-1917), Freud enuncia chiaramente la sua posizione: «Non si guadagna nulla evidentemente a insistere con Jung sull'unità primordiale di tutte pulsioni e a dare il nome di «libido» all’ energia che si manifesta in ognuna di esse[…] È impossibile, qualsiasi artificio cui si faccia ricorso, eliminare dalla vita psichica la funzione sessuale. […] Il nome di libido resti riservato alle tendenze della vita sessuale, ed è unicamente in questo senso che noi l’abbiamo sempre impiegato.»
Libido e sessualità
La teoria della libido come fu elaborata da Freud suppone una concezione della sessualità più larga di quella che esisteva alla sua epoca. È sullo studio della sessualità infantile e delle perversioni che egli si fonda per giustificare la sua teoria. In Tre Saggi sulla sessualità (1905), o in Introduzione alla psicoanalisi, egli afferma che la sessualità non è limitata al compito della procreazione. Egli rifiuta così l’idea d'identità tra la sfera sessuale e quella genitale, e mette in evidenza l'esistenza d'un sessuale differente dal genitale che non ha nulla a che vedere con la riproduzione non avendo altro scopo che l'ottenimento d’un soddisfacimento. Così nacque lo scandalo: Freud qualifica come «sessuali» un certo numero d'attività o di tendenze riscontrabili non solamente presso l'adulto, ma anche nel bambino fin’anche nel lattante. Il bambino, ci dice, è un «perverso polimorfo». Così riconosce, nella suzione del lattante e nel soddisfacimento che egli ne trae, una attività di tipo sessuale. È da qui che egli sviluppa la concezione d'uno sviluppo sessuale (o meglio dire uno sviluppo della libido) secondo differenti stadi: la sessualità, non si trova già bella e pronta, ma è sottomessa a uno sviluppo della libido secondo differenti fasi (o stadi). E la chiave di volta di questo sviluppo è «costituito dalla subordinazione di tutte le tendenze sessuali parziali al primato degli organi genitali, dunque dall’assoggettamento della sessualità alla funzione procreativa» (Introduzione alla psicoanalisi).
L'altro aspetto di questa concezione allargata della sessualità concerne la questione del rapporto con l’oggetto: la libido, dice Freud, può avere come oggetto sia il soggetto (libido dell’Io) che un oggetto esterno (libido d'oggetto). Freud designa sotto il termine di narcisismo la prima. La libido dell’Io così intravista pone un’altra questione, quella dello scopo della pulsione, ossia il soddisfacimento, sulla quale Freud s'interroga mentre evoca la questione del divenire della libido nella sublimazione.
Libido e pulsione di vita
Questa concezione estremamente estesa della sessualità avvicina Freud alla concezione dell’Eros presso Platone, concezione che egli giudica molto vicino alla propria. In Tre Saggi sulla sessualità, egli evoca la favola poetica che Platone fa raccontare ad Aristofane (il Convito): la divisione in due parti dell’essere umano, ciascuna delle quali aspira senza cessa a ritrovare la propria metà perduta per unirisi con essa. Platone ci mostra così Eros, ossia il desiderio, sempre inappagato e instancabilmente alla ricerca di ciò che potrebbe soddisfarlo, cercando senza cessa ciò che manca a colmarlo. «Nella concezione dell’amore, la psicoanalisi non ha creato niente di nuovo. L'Eros di Platone presenta quanto alle sue origini, alle sue manifestazioni e ai suoi rapporti con l’amore sessuale, una analogia completa con l'energia amorosa, con la libido della psicoanalisi […]» (Psicologia delle masse e analisi dell’Io, 1921). Freud si trova dunque in pieno accordo con la teoria dell’amore di Platone, e con la sua concezione del desiderio. I termini di libido e d'Eros gli sembrano simili, ma ritiene di conservare il primo, fondato sulla sua concezione innovatrice della sessualità. A tal proposito, egli scrisse ancora: «Coloro che considerano la sessualità come qualcosa che fa onta alla natura umana e che la degrada sono ben liberi di servirsi dei termini più distinti di Eros e di erotico. […] Non si può sapere fin dove si va a parare: si comincia col cedere sulle parole, poi si finisce col cedere sulle cose». Ulteriormente, Freud utilizzerà il termine Eros per designare le pulsioni di vita che egli oppone alle pulsioni di morte, e che sono a loro volta le pulsioni sessuali e le pulsioni d'autoconservazione. Nel Compendio di psicoanalisi (1938), l’ ultima opera incompiuta, egli scrisse che chiamerà ormai libido «ogni energia dell’Eros ».
Mito della tribù (uccisione del padre)
È in una sua opera Totem e Tabù (1912) che Freud costruisce un «mito scientifico», quello della tribù primitiva: c’ era una volta «un padre violento, geloso, che teneva per sé tutte le donne e scacciava i figli man mano che essi crescevano. […] Un giorno i fratelli si coalizzarono e uccisero e mangiarono il padre, fatto che pose fine all’ esistenza della tribù paterna. Una volta coalizzati, sono diventati intraprendenti e hanno potuto realizzare ciò che ognuno d'essi presi individualmente non sarebbe mai stato capace di fare. […] Con l’atto dell’insubordinazione, essi realizzano la loro idendentificazione con lui (il padre), appropriandosi ognuno di una parte della sua forza […]. La banda dei fratelli ribelli era animata riguardo al padre da sentimenti contraddittori che […] formano il contenuto ambivalente del complesso paterno presso ognuno dei nostri figli, e dei nevrotici. Essi odiano il padre - che s'opponeva così violentemente al loro bisogno di potenza e alle loro esigenze sessuali-, ma odiandolo, essi l'amavano e l’ammiravano. Dopo averlo soppresso, dopo avere soddisfatto il loro odio e realizzato la loro identificazione con lui, essi hanno dovuto consegnarsi a delle manifestazioni d’affetto d’una tenerezza esagerata. Essi lo fecero sotto la forma del pentimento; essi provarono un sentimento di colpevolezza. […] Il morto diveniva più potente di quanto lo fosse da vivo. […] Ciò che il padre aveva loro impedito da vivo, i figli se lo proibivano adesso essi stessi. […] Essi sconfessavano il loro atto interdicendo la messa a morte […] (del padre), e essi rinunciarono a raccogliere i frutti di questi atti, rifiutando d'avere dei rapporti sessuali con le donne che essi avevano liberate». (Totem e Tabù, capitolo IV, paragrafo 5)
Così, una colpa terrible s’abbattè sui fratelli che avevano divorato il loro padre nel corso d'un pasto cannibalico, nello stesso tempo anche una paura terribile di una ritorsione li prese. Nel corso di questo pasto, essi avevano ad un tempo fatta loro la potenza del padre e messo fine con la violenza alla rivalità che intercorreva tra maschi sul possesso delle donne. È così che il padre primitivo, idealizzato in padre morto, divenne il garante di questo patto tra fratelli: rinunciando al godimento senza limite, ognuno ha diritto all’ esercizio della sessualità e del desiderio, nel rispetto della regola comune e fondamentale.
Il mito della tribù primitiva si situa, secondo Freud, all’ origine del mito edipico: esso si struttura, in effetti, attorno a una immagine simbolica della figura paterna, il divieto dell’incesto che sottende il mito dell’Edipo. In questa concezione ciò che viene prima non è l'incesto poiché prima del divieto non esiste che una sessualità anarchica. È dunque il divieto che ha creato l’incesto. Di converso, la Legge preesiste al mito edipico, poiché, secondo la psicoanalisi, l'incesto è primo: il bambino vorrebbe uccidere il padre per unirisi alla madre e non rinuncia a questo desiderio che grazie alla simbolizzazione della castrazione di cui il padre è portatore. Ugualmente, gli sarà possibile accedere a sua volta alla posizione di soggetto del desiderio e di padre.
Nel 1912, il mito della tribù primitiva apparve a Freud poco conciliabile con il concetto d'Edipo che si fonda sulla relazione triangolare esistente tra il bambino e i suoi genitori. In effetti, la clinica mette in luce il ruolo essenziale di partenza della relazione del bambino con la madre, mentre in Totem e Tabù la relazione prima è quella che unisce e oppone di volta in volta il padre e il bambino, attorno a un oggetto indifferenziato: nel mito della tribù, non c’è né madre né figlia, non esistono che genericamente delle donne, oggetti delle pulsioni sessuali degli uomini e di rivalità fra essi.
Motto di spirito (Witz)
Il motto di spirito è un gioco inconscio dello spirito sul linguaggio, che provoca una soddisfazione speciale, e che comporta un ruolo particolare nella vita psichica.
In un suo primo lavoro sull’isteria, Freud si confrontò con la questione del motto di spirito: constatò che, allorché una rappresentazione inconscia è rimossa, essa può riafforare sotto una forma che la rende irriconoscibile, al fine di aggirare il processo di censura. Ora, il doppio senso d'un motto può costituire una forma di questo travisamento.
Freud si dedicò allo studio dei meccanismi del linguaggio dell’inconscio nel Motto di spirito e le sue relazioni con l'inconscio (1905), L'interpretazione dei sogni (1900) e Psicopatologia della vita quotidiana (1901). Nel Motto di spirito e le sue relazioni con l’inconscio, s'interrogò sulla questione di capire se ogni interiezione o battuta può essere considerata come un motto di spirito. Egli enuncia inizialmente che i meccanismi formali dello spirito sono identici a quelli che si producono nel sogno, e che così come per il sogno, esiste un «contenuto latente » dissimulato da un «contenuto manifesto ». Tra questi meccanismi, quello della condensazione è il più frequente. A titolo d'esempio, Freud ricorda la pièce di Heine, Impressioni di viaggio, nella quale Hirsch-Giacinto, si vanta delle sue relazioni con il ricco barone Rothschild e termina con queste parole: «Dottore, quant’è vero che Dio m'accorda i suoi favori: ero seduto a fianco di Salomon Rothschild e egli mi trattava da pari a pari, in maniera del tutto «familionario » …» Per Freud, il senso di questo motto di spirito era che Rothschild lo trattava familiarmente ma non più di quanto fosse possibile a un milionario, ossia non senza una certa condiscendenza propria dei ricchi… sottolineava egualmente il fatto che il valore spirituale di questo motto era legato alla forma linguistica stessa, alla condensazione di «familiare» e di «milionario » in questo “condensato” neologismo.
Il meccanismo dello spostamento può egualmente intervenire nella costruzione d'un motto di spirito. Freud descrisse lungamente questo funzionamento prendendo degli esempi tratti da storie ebree. Così due ebrei si incontrano nelle vicinanze di uno stabilimento balneare. «Hai preso un bagno», domanda il primo. «Perché – replica – l’altro, ne manca uno?». Qui la condensazione risiede nel doppio significato del verbo prendere, mentre lo spostamento interviene nel secondo personaggio che immagina di ascoltare «Hai preso un bagno», allorché il primo aveva semplicemente chiesto «Hai fatto un bagno?»
Qual è la natura della soddisfazione che proviene dal fatto di fare o d'intendere un motto di spirito? Il puro e semplice gioco sulle parole è praticato fin dall’infanzia, ma, aggiunge Freud, il fatto è che ciò che è formulato con spirito è più facilement accettato dalla censura, anche quando si tratta d'idee rifiutate ordinariamente dalla coscienza. Col motto di spirito, il soggetto libera dunque una energia abitualmente conservata per mantenere il rimosso. È in questa riserva d'energia che egli troverebbe il suo piacere, ossia nella diminuzione della tensione.
Freud insiste sul fatto che con un motto di spirito il soggetto può infine prendere la parola, e che provocando il riso, disarma l'altro, che potrebbe criticarlo. Così sottolinea l'importanza dello statuto del terzo nel motto di spirito: una presa in giro può riguardare una data persona, ma vale come motto di spirito se essa è enunciata per un terzo, il quale ridendo reca la conferma che essa è stata ricevuta.
Narcisismo (Narzissmus)
Amore che si porta all’ immagine di se stesso, il narcisismo, descritto da P. Näcke nel 1899 come una perversione sessuale, fu promosso dalla psicoanalisi al rango di dato strutturale della vita psichica.
Dopo i tre Saggi sulla teoria sessuale (1905) che fissarono gli stadi dello sviluppo della libido (stadio orale, anale e genitale), Freud, nelle sue ricerche sulla psicosi, prova la necessità d'introdurre un nuovo stadio che permetterebbe di chiarire il problema della scelta dell’oggetto sessuale: questo stadio sarà il narcisismo. (Per introdurre il narcisismo, 1914).
Nel corso delle sue osservazioni cliniche egli nota nella paranoia e nella demenza precoce un ritorno della libido del soggetto su sé stesso che s’accompagna a un disinteresse per il mondo esterno e una immagine di sé grandiosa (il caso Schreber, 1911). Poco a poco, questo tratto patologico di ritorno su sé stesso della libido diventerà, nella teoria freudiana, une fase d'investimento pulsionale indispensabile alla vita soggettiva.
Freud avanza l’idea d’una libido dell’Io in equilibrio energetico con la libido d'oggetto. L'investimento libidinale dell’Io corrisponde a una fase d'unificazione pulsionale. In effetti, finora, nell'autoerotismo, le pulsioni trovavano soddisfazione in degli oggetti parziali del proprio corpo. Il narcisismo rappresenta dunque un momento costitutivo del soggetto nella sua unità. Da qui, la libido dell’Io diventa un investimento permanente e participe alla scelta d'un oggetto d'amore nel mondo esterno.
Si comprende allora che gli squilibri di questa bilancia energetica tra libido dell’Io e la libido d'oggetto siano all’ origine dei disturbi psichici che Freud chiama «le nevrosi narcisistiche» e che noi chiamiamo oggi psicosi. Esse si caratterizzano da un ritrarsi della libido d'oggetto che si riversa sull’Io in una maniera smisurata (le manie, la schizofrenia), o, all’ inverso, da una depressione irriducibile della libido dell’Io (la melanconia).
Certi autori come H. Kohut (1971) hanno forgiato il concetto di «personalità narcisistica» a partire dai lavori sul transfert di certi pazienti: il transfert idealizzante che mobilita l’ immagine genitoriale onnipotente, e il transfert che mobilita l’Io grandioso.
Neutralità (Neutralität)
La neutralità è l’attitudine che deve adottare l'analista nella cura rispetto al paziente. L'analista non deve dirigere la cura in funzione d'un ideale, e s’asterrà da ogni consiglio. Non entrerà nel gioco del paziente limitandosi a domande trasferenziali.
Dopo avere rinunciato all’ ipnosi, tecnica eminintemente suggestiva, Freud si sforzò di perorare la neutralità del terapeuta, che l’obbliga a spossessarsi dell’ «orgoglio terapeutico» a favore dell’ «orgoglio educativo». Freud non impiega mai l’espressione consacrata di «neutralità benevolente », egli parlò semplicemente di «simpatia comprensiva » come condizione dell’istaurarsi del transfert (L’inizio del trattamento, 1913).
Nel 1918, Freud s'oppone alla tecnica junghiana (Vie della terapia psicoanalitica) per affermare che il paziente non è l'oggetto del terapeuta e non deve vedersi imporre un qualsiasi ideale, un destino o anche una immagine.
Infatti questa raccomandazione si giustifica per evitare al terapeuta una situazione di onnipotenza. La neutralità qualifica una funzione e non una persona, e non è l'equivalente dell’obiettività o dell’indifferenza. L'ascolto analitico, gli interventi interpretativi del terapeuta fanno dell’analista un attore della cura e non il recettore passivo del discorso del paziente. La neutralità - anche se l'analista è obbligato a rinunciarvi in certe situazioni (cura degli psicotici, cura dei bambini)-, resta la garanzia del lavoro analitico. Il transfert comporta, in effetti, dei processi obbligatori d'identificazione che il terapeuta deve subire senza incoraggiarli.
Nevrosi (Neurose)
Una nevrosi è un'affezione dell’equilibrio psichico. Essa è strutturalmente differente dalla psicosi, poiché essa non conduce a un disordine della personalità e non perturba nel soggetto fondamentalemente la percezione di sé e della realtà. Per altro verso, il soggetto è conscio, almeno parzialmente, del carattere patologico dei suoi disturbi, e l’handicap che ne deriva non è, nella maggior parte dei casi, che relativo.
I tratti del carattere, che fanno qualificare un individuo discreto, esuberante, chiuso, timido, aggressivo, ecc., s'organizzano talvolta in personalità patologiche, generando allora un handicap che può invalidare il soggetto, in particolare nelle sue relazioni con gli altri. Sono state descritte così le personalità di tipo fobico, isterico e ossessionale, che possono, a un stadio ultimo, sviluppare delle nevrosi dello stesso nome.
Sigmund Freud, in Spiegazioni relative a personalità patologiche e alle nevrosi, affermò che ogni individuo è dominato dall'opposizione tra le forze che tendono all’ottenimento del piacere e quelle che tendono ad impedirlo. Nel corso del tempo, un equilibrio s'instaura, che permette un buon adattamento alla vita. Presso i soggetti che soffrono di nevrosi, questo fenomeno d'opposizione comporta dei conflitti inconsci che s’esprimono differentemente seguendo il tipo di nevrosi considerato e affliggono il soggetto nella sua vita relazionale.
L'ansia, questa paura senza oggetto reale che s'accompagna in generale con manifestazioni corporee, è presente nella maggior parte dei soggetti nevrotici. Tuttavia, è sotto il termine di «nevrosi d'angoscia» (Angstneurose) che è raggruppato l'insieme delle manifestazioni ansiose che si presentano presso una personalità normale e anche presso una personalità patologica.
La nevrosi ossessiva
La nevrosi ossessiva costituisce attualmente un’entità nosografica universalmente ammessa. Essa fu isolata da Freud negli anni 1894-1895: « Mi fu necessario iniziare il mio lavoro con una innovazione nosografica. Allato dell’isteria, ho trovato ragione di porre la nevrosi da ossessioni (in tedesco: Zwangneurose) come affezione autonoma e indipendente e, benché la maggior parte degli autori classificano le ossessioni tra le sindromi costituendo una “degenerescenza” mentale o le confondono con la nevrastenia » (L’Eredità e l’Eziologia delle nevrosi , 1896). Freud analizzò inizialmente il meccanismo psicologico delle ossessioni, poi raggruppò in una affezione specifica diversi sintomi descritti da molto tempo ma connessi a quadri nosografici differenti: «degenerescenza» di Magnan, «nevrastenia» di Beard. Janet, poco dopo Freud, descrisse sotto il termine di «nevrastenia» una nevrosi simile alla nevrosi ossessiva, ma in un approccio eziologico differente: ciò che per lui è fondamentale, è lo stato deficitario di questo tipo d'affezione, la debolezza della sintesi mentale, l'astenia psichica. Per Freud, al contrario, dubbi e inibizioni sono le conseguenze d'un conflitto che mobilita e blocca l'energia del soggetto.
In seguito la specificità della nevrosi ossessiva non ha fatto che confermarsi nella teoria analitica. Essa continua a costituire come Freud già diceva «senza alcun dubbio, l'oggetto più fecondo e più interessante della ricerca analitica».
Nevrosi ossessiva e isteria
La parola «ossessione» apparteneva inizialmente al linguaggio religioso scaturente dagli ossessi del vangelo (indemoniati). Viene dal latino obsideo che significa «occupare un posto». Apparve inizialmente nel linguaggio medico all’inizio del XIX secolo per designare «un’idea o una immagine incoercibile e inespugnabile».
Freud, spezza il consenso terminologico che s'era costruito riguardo a questa affezione, rifiutando egualmente le nozioni di «nevrastenia» o di «forma degradata dell’energia psichica», proposta da Beard o da Janet per caratterizzarla. Egli inaugura con un metodo clinico specifico, una nuova maniera d'investigazione, quella d’una struttura che sarebbe propria alla nevrosi ossessionale:stabilì così una distinzione tra comportamento e struttura, tra sintomo particolare e organizzazione della personalità.
«L'innovazione nosografica» consiste inizialmente nell’accostare la nevrosi ossessiva all’isteria, prima di distinguerle: l’una e l’altra hanno in comune di essere il risultato di un trauma causato da una esperienza sessuale vissuta nell'infanzia, e di impiegare energia psichica specifica per difendersi contro la rappresentazione e il sentimento provenienti da questa esperienza. Il meccanismo difensivo della nevrosi ossessiva o isterica consisterà allora nel trasformare la rappresentazione fuoriuscita dall’esperienza infantile, in una rappresentazione affievolita, e a orientare verso altri scopi la somma d'eccitazione (Erregungssumme) che fu separata dalla sua fonte originaria. Ma la differenza tra le due nevrosi è notevole: se nell'isteria, la fonte d'eccitazione è « riportata nel corporeo » dal processo di « conversione», nella nevrosi ossessiva come nella fobia, essa «deve necessariamente restare nell’ ambito psichico». Questo carattere puramente mentale dei meccanismi ossessivi li rende molto oscuri: in effetti, il processo, per il quale l'evento passato si separa dall’affezione che ha provocato, e per il quale quest’affezione si connette a una rappresentazione che conviene al soggetto nella misura in cui non è inconciliabile con l’Io, è un processo che si produce nell'inconscio e che, d’altra parte, consiste in una sostituzione dove si può vedere «un atto di difesa dell’Io contro l’idea inconciliabile ».
Questa trasformazione, che interviene fin dalla pubertà, provoca delle ossessioni che prenderanno la forma di idee o di atti o di impulsi. Nel primo caso si è « riusciti solamente a sostituire l’idea inconciliabile con una altra idea, poco appropriata a essere associata a un stato emotivo che è restato lo stesso ». Nel secondo caso, l’idea originaria non è rimpiazzata da una altra idea, ma « da degli atti o impulsi che hanno servito all’ origine come sollievo o come processi protettori, e che adesso si trovano in associazione grottesca con uno stato emotivo che non gli conviene ma che è restato lo stesso e così giustificato come all'origine ».
Freud evoca un’altra differenza tra l’ossessivo e l’isterico, che ritiene connessi questa volta alla differenza di natura delle esperienze sessuali vissute nell'infanzia: l'isteria avrebbe per origine una esperienza di passività erotica «vissuta con indifferenza e al massimo con un po’ di disgusto» mentre la nevrosi ossessiva avrebbe avuto come punto di partenza un evento che « ha procurato piacere», « un’aggressione sessuale ispirata dal desiderio (nel caso del ragazzo ) o una participazione con godimento ai rapporti sessuali (nel caso della ragazza) ».
Il sentimento di colpevolezza e il rito ossessivo
Freud situa dunque nella vita sessuale precoce l'origine della nevrosi ossessiva, come d’altra parte quella dell’isteria. Così facendo, trattando della nevrosi ossessiva, egli mette in evidenza il legame strutturale con il senso di colpa. In effetti, attraverso il ricordo dell’esperienza vissuta precocemente con piacere, l'ossessivo si trova in preda ad auto- rimproveri, che Freud identifca con le idee ossessive. Quando questo ricordo ritorna al momento della pubertà, può provocare due specie di processi ossessivi: da una parte, mentre la rappresentazione ossessiva è deformata dal rimosso, interviene un meccanismo di difesa che ha il ruolo di reprimere il sintomo iniziale sotto forma, per esempio, d’una sfiducia in se stessi; d’altra parte, mentre il ricordo del passato s'accompagna all’affetto corrispondente allo choc che gli ha provocato, il rimprovero vertendo sull'esperienza vissuta in passato può tradursi in affezioni ossessive: la vergogna, l'angoscia ipocondriaca, o sociale, o l'angoscia provocata dalla tentazione d'un ritorno verso tali esperienze.
Esiste un altro tipo di processo ossessivo, che può intervenire allorché il processo di difesa primario è stato messo in scacco, dando luogo allora a delle difese secondarie. Sono quelle che Freud designa come « ruminazione compulsiva », « compulsione di pensiero e di verifica » o « malattia del dubbio » dalla quale il soggetto si protegge dalla rappresentazione ossessiva cadendo nella enumerazione meticolosa degli oggetti circostanti. Allo stesso modo ne conseguono, ci dice ancora Freud, delle « misure d'espiazione», delle « misure di precauzione», delle « misure di paura del tradimento ». Questo comportamento compulsivo può riguardare dei processi torturanti: cerimoniali, follia del dubbio generalizzata, inibizioni e fobie, coi quali l'ossessivo punisce se stesso proibendosi ogni azione e ogni relazione .
Differenti tipi di nevrosi
Nevrosi d'angoscia (Angstneurose)
Chiamata egualmente «attacco di panico », la crisi acuta d'angoscia si traduce nell’istaurazione brutale – senza circostanza scatenante – d'uno stato d'ansia intenso, che va spesso accompagnato da una paura di morire all’improvviso o di perdere la ragione; talvolta la coscienza del soggetto è debilitata al punto che egli non sa chi è o in quale luogo si trova. Questa angoscia s'accompagna ad una oppressione toracica, a palpitazioni, a conati di pianto, a sudori, vomito, difficoltà respiratorie, ecc. L'ansia può egualmente divenire cronica o generalizzata. Essa corrisponde allora a un sentimento durevole di tensione interiore, di paura e d'insicurezza. Essa può turbare la vita sociale del soggetto impedendogli di relazionarsi.
Nevrosi fobica (Phobische Neurose)
La personalità fobica corrisponde a un carattere sfuggente. Il soggetto che presenta questo tipo di personalità evita, per quanto possibile, i rapporti con gli altri, par paura eccessiva d’affossarsi nella situazione che potrebbe derivarne. La nevrosi fobica induce uno stato di paura panico in cui l'oggetto è variabile: il soggetto può provare una paura della folla, dei grandi spazi, dell’altitudine, paura di dovere intervenire in pubblico, paura degli ascensori, aerei e altri mezzi di trasporto, dei ragni, dei topi, ecc. Questo disturbo può, nella sua forma estrema, impedire al soggetto di uscirne da solo. Dei farmaci adatti, con o senza una «rieducazione » comportamentale, sono allora necessari per la guarigione.
Nevrosi ossessionale (Zwangsneurose)
L’individuo che presenta un personalità ossessionale è meticoloso, ordinato e accurato. È piuttosto riservato nei suoi rapporti con gli altri e spesso sottomesso al dubbio, che lo conduce, tra l’altro, a rassicurarsi in maniera eccessiva.
La nevrosi ossessionale (denominata anche disturbo ossessionale-compulsivo, nelle classificazioni diagnostiche attuali) si caratterizza per l’irruzione, nel pensiero del soggetto, di un’idea assurda , non ritenuta come tale da lui, e che gli procura conflitto. Questo fenomeno genera un’ansia severa. È, per esempio, il timore ossessivo d'avere mal chiuso una porta o il rubinetto del gas; seguono cosi le verifiche effettuate senza cessa dal paziente.. In altri casi, si tratta del terrore di contrarre questa o quella malattia grave o quella di sporcarsi; questi fenomeni angoscianti inducono il malato a sviluppare dei rituali di pulizia che possono giungere fino a paralizzare la sua attività. Certi farmaci permettono di trattare questo disturbo con un successo del tutto ragionevole.
Nevrosi isterica (vedi meglio: Isteria)
La personalità isterica, maggiormente osservata presso le donne, ma esistente più spesso di quanto si creda presso gli uomini, si distingue per dei tratti caratteriali quali la permeabilità alle influenze, une propensione a piacere e a sedurre, l’espressione in maniera spettacolare di emozioni molto mutevoli. Mentre la nevrosi è in atto appaiono dei sintomi corporei che colpiscono le funzioni di relazione, in particolare l'attività nervosa; le eventuali paralisi, cecità , mutismo, contratture, anestesia non hanno alcun supporto organico. Freud li considera come «sintomi di conversione» come un’ espressione simbolica di conflitti psichici: un meccanismo di difesa assedia il corpo per alleviarne lo psichismo. I sintomi osservati sono molteplici e hanno la caratteristica di seguire l'evoluzione dei costumi della società o dei progressi della medicina. Tuttavia, il soggetto isterico non simula volontariamente questi sintomi, che sono manifestamente d’una origine psicologica inconscia. La presa in carico dei pazienti implica un’azione sul loro ambiente e una psicoterapia.
... [continua]
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